Con Massimiliano Vaj, presidente Asal, delineiamo il profilo degli allestitori italiani per affrontare le sfide del prossimo futuro

Come sta cambiando il mondo dell’exhibit design? Ma soprattutto, come stanno cambiando le aziende di allestimento per affrontare le nuove sfide di un mercato in evoluzione e condizionato sia dalla crisi generale del nostro paese ma anche da una trasformazione in atto negli equilibri e nelle forme tra domanda e offerta. Massimiliano Vaj, presidente di Asal (Federlegnoarredo) delinea il quadro di riferimento e le direzioni verso cui il settore sta muovendo.

Iniziamo naturalmente da una breve analisi della situazione attuale, tra problematiche e nodi da sciogliere…

Massimiliano Vaj – Confrontandoci in associazione con molti colleghi, il 2018 è stato complessivamente positivo, dopo un biennio difficile, con un 2016 negativo e un 2017 di stasi. Mediamente un risultato discreto, che non deriva però prevalentemente dalle fiere, ma da un insieme di domanda composita, dove il settore non fieristico ha visto un incremento che ha reso il bilancio complessivo abbastanza positivo. Eventi, mostre, ma soprattutto allestimenti negozi, showroom, temporary, arredamenti sono stati l’elemento trainante della domanda; le fiere continuano ad avere un po’ di incertezza, in senso lato: un esempio significativo è stata la chiusura di Cebit ad Hannover , annunciata tra l’altro un mese dopo l’ultima edizione svolta, fiera leader di settore. Quello che preoccupa un po’ è che anche le fiere di eccellenza possano dare segni di sofferenza e che non sembra più il settore fieristico a rappresentare la crescita di domanda marginale prevalente per gli allestitori. Dal punto di vista normativo, superato il tema della reazione al fuoco e della sicurezza dei materiali, ormai definito e fissato da certificazioni europee, oggi gli aspetti più significativi di discussione riguardano gli aspetti di riciclo e di smaltimento. Nel nostro settore, per fortuna, il tema del riciclo è strettamente legato alla nostra attività, un po’ per il reimpiego dei materiali utilizzati un po’ per quanto riguarda lo smaltimento degli stessi per cui le aziende di allestimento sono da sempre attente. Alcuni materiali, tipo le pellicole, sono naturalmente usa e getta, e quindi richiedono procedure di smaltimento corrette, ma in linea di massima il settore tende a usare materiali che possano essere riutilizzati, per i quali non esistono ancora normative specifiche ma dove mi sento di affermare che siamo strutturati e attenti propria per la natura stessa della nostra attività. Una questione invece che ci riguarda sempre di più sono le norme che toccano la gestione dell’installazione degli allestimenti, vale a dire appalto e sub appalto, che significa attenzione da parte di molte istituzioni alla regolarizzazione di un contratto, perché la differenza tra fornitura e sub appalto è sostanziale. La catena del sub appalto a volte diventa multilivello fino a non sapere di fatto chi ti ritrovi in cantiere a lavorare e installare. Asal, tramite i propri consulenti legali si è occupata di questo tema ed è arrivata a formulare una serie di contratti standard per tutelare gli allestitori e definire ruoli e responsabilità specifiche nella catena di fornitura e sub appalto, identificando anche le specializzazioni e cercando nel contempo di frenare anche l’utilizzo di mano d’opera non professionale (senza abilitazioni e certificazioni) e a volte pagata in nero. La normativa attuale prevede un numero sempre maggiore di documentazioni e certificazioni da presentare, e anche in questo senso Asal è impegnata a interpretare questo labirinto di obblighi e certificazioni.

Come “funziona” il rapporto tra allestitore e progettista?

Massimiliano Vaj – Come battuta mi verrebbe da dire che basta avere degli architetti bravi e tutto va bene. Gli architetti molto spesso fanno brillare anche gli allestitori, con progetti e realizzazioni di alta qualità. Credo che i problemi, se possiamo dire così, nascano quando l’architetto proviene da mondi diversi da quelli dell’exhibit design, ad esempio dalla decorazione di interni, e quindi possono nascere contrasti su alcune scelte tecniche e di realizzazione. In linea di massima però l’architetto ha ormai quasi sempre una formazione più trasversale, e collabora con noi allestitori come consulenti in grado di trasformare un’idea progettuale in un allestimento, risolvendo quindi gli aspetti tecnici riguardo la scelta di soluzioni, materiali e installazione. Siamo di fatto una sorta di interpreti tra le scelte creative e la loro reale applicazione in un ambito che è diverso da quello edilizio e architettonico, spesso legato a tempistiche e specifiche tecniche diverse a quelle a cui sono abituati. Confrontarci costantemente con creativi, designer e architetti porta una crescita per noi allestitori, e la nostra esperienza e conoscenza del mondo dell’exhibit permette anche a loro di acquisire competenze sempre nuove.
Come allestitore ho fatto la scelta di non investire nella creatività, nel senso di non dotare la mia azienda di una struttura creativa di progettazione, perché credo che la creatività debba essere libera e dunque non vincolata a regole e direttive aziendali. Altri si sono dotati di una divisione interna per sviluppare progetti e design. Non c’è una ricetta giusta e una sbagliata, dipende dagli obiettivi e dai target a cui ognuno di noi allestitori si indirizza. C’è ancora una sorta di stratificazione della domanda, partendo dal committente e arrivando attraverso vari professionisti agli allestitori. Spesso il settore di provenienza e la tipologia di committente indirizzano anche la scelta verso un allestitore con o senza la progettazione. Faccio un esempio: se il committente viene dal settore del mobile, soprattutto se di alto livello, ha quotidianamente rapporti di collaborazione con designer e architetti, e quindi anche nei suoi progetti di allestimento sceglierà di avvalersi di queste figure che a loro volta sceglieranno un allestitore secondo parametri che possono variare; nel caso di un committente che non ha rapporti con architetti e designer, spesso sarà delegato all’allestitore anche il compito di progettazione creativa.
C’è anche una terza via, basata sulla figura del general contractor, a volte nata come evoluzione da un’azienda di allestimenti, in altri casi come evoluzione dallo studio creativo, che di fatto riunisce tutta una serie di competenze di progettazione, analisi e gestione di un allestimento (nel senso più ampio del termine) e si avvale poi di collaboratori tecnici per la realizzazione e il montaggio. Vantaggio quello della flessibilità dal punto di vista della realizzazione, svantaggio, secondo me, quello dei tempi della risposta, avendo passaggi ulteriori tra la fase creativa e quella realizzativa, e spesso il mercato, la domanda, impone tempi veramente stretti e vincolanti.

Aspetto che desta dubbi o preoccupazioni per il futuro?

Massimiliano Vaj – Credo che uno dei problemi più sentiti nel nostro settore sia quello della nascita di nuovi competitor nel mondo delle fiere, e sono le stesse fiere. Diversi quartieri fieristici hanno integrato all’interno della propria struttura delle strutture di allestimento, più semplicemente, hanno comprato una o più società di allestimento, trasformandosi da arena competitiva neutrale per chi si occupa di allestimenti fieristici a vero player competitivo. In una situazione di libero mercato questo non crea problemi, soprattutto se gestito in modo neutrale e super partes, ma alcune esperienze pratiche del recente passato hanno suscitato nel settore qualche perplessità e preoccupazione. Asal ha naturalmente preso atto di questa situazione e provveduto a fare alcune segnalazioni alle autorità per un controllo delle regole competitive. Questa situazione genera anche un fenomeno di territorialità legato alle fiere, quindi rende più ristretta la possibilità di partecipazione di player nazionali e genera di fatto una domanda che tende a premiare le aziende vicine alla piazza espositiva, creando di fatto veri e propri bacini di domanda/offerta.

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